Faccio il verso al titolo del libro di Luca Boschi (Irripetibili - Le Grandi Stagioni del Fumetto Italiano) che ho letto in questi giorni, non per farne una tardiva recensione (una delle cose positive di questo blog è che non ci sono recensioni) ma per mettere nero su bianco un piccolo ragionamento che mi frulla nel cervello. Il libro affronta le stagioni fumettistiche degli anni '70 e '80 che videro il fiorire delle riviste d'autore e l'emergere di alcuni nomi che sarebbero diventati mostri sacri del fumetto. Boschi non si sente (troppo) nostalgico, e non è alla nostalgia che imputa l'irripetibilità, quanto alla più oggettiva disgregazione di una condizione storica e sociale che procurò tanta fortuna allo sviluppo di una realtà fumettistica all'avanguardia tutta Made in Italy. In una delle prime pagine viene spiegato subito il concetto per mezzo di Gianfranco Manfredi che parla del periodo in cui era cantautore e non ancora autore di fumetti:
Riguardo ai Settanta: come sai, non sono affatto un nostalgico e anche per questo, tranne sporadicissime occasioni speciali, in genere non mi va di rieseguire le mie canzoni di allora. Hai ragione tu: senza quel clima, non si capiscono. (Luca Boschi, Irripetibili, Roma, Coniglio Editore, 2007, pag. 14).
I fumetti (o le canzoni) del periodo non vengono più capite perché è scomparso il clima che le ha generate. Poiché la realtà in cui è nata è irripetibile, l'opera d'arte stessa diventa irripetibile, ovvero non più fruibile. Ma se, dunque, non è vista in chiave nostalgica, la parola "irripetibile" non ha più un suono tanto positivo, non è più la strizzatina d'occhio dell'autore ai pochi felici (i soliti happy few, beati loro) che possono dire "io c'ero". Pare piuttosto la pietra tombale di una realtà artistica che ha avuto un inizio, uno sviluppo e una fine, e che ora è morta e sepolta. Ma il problema è più complesso perché ancora oggi non possiamo fare a meno di riconoscere un valore artistico anche grande ad alcuni autori dell'epoca. E come si spiega ciò, se noi infelici non possiamo più godere delle loro opere? Credo che la risposta stia proprio nella ripetizione.
Come suggerisce il critico inglese Terry Eagleton, la differenza tra un'opera del passato (non solamente fumettistica, ma anche letteraria, pittorica ecc.) finita nel dimenticatoio e un'altra invece osannata e riconosciuta come "capolavoro", sta nel fatto che quest'ultima ha saputo rigenerarsi nel tempo e assumere volti nuovi in base alla società che ne ha usufruito. Il Don Chisciotte o l'Amleto (tanto per fare due esempi molto distanti nel tempo) non sono più la stessa opera di quando sono stati creati, ma sono stati rielaborati dalla nostra società, che ne ha riscritto la storia stessa. E la fruizione è possibile perché è possibile la lettura con le nuove chiavi, e ogni lettura che genera senso è una ripetizione. La conclusione del libro di Luca Boschi mostra, con uno slancio finale di speranza, la consapevolezza della necessità della ripetizione affinché l'opera d'arte sia tale:
Il nostro itinerario non si conclude dopo la quarta di copertina di questo libro, che è poco più di un promemoria stilato con la valigia aperta nell'ansia di non scordare l'essenziale. Al contrario, prosegue nelle fumetterie, nelle librerie, nei negozi dei rigattieri, sulle bancarelle delle fiere e dei mercatini dove la polvere protegge anche quegli albi o quelle riviste che hanno cessato da tempo le pubblicazioni ma che meritano una riscoperta. Attendono di essere acquistati, letti, prestati a chi può apprezzarli e attualmente li ignora. (Luca Boschi, Irripetibili, Roma, Coniglio Editore, 2007, pag. 325).La ripetizione dovuta alla lettura, quando genera senso (i fumetti letti "da chi può apprezzarli") è l'unica cosa che può dare valore artistico ad un'opera. L'opera d'arte non è dunque opera d'arte "in sé" ma è opera d'arte solo se è valutata tale dalle persone appartenenti ad una data società:
E' senza dubbio possibile, quindi, che in seguito ad un cambiamento sufficientemente profondo della nostra Storia, potremmo in futuro produrre una società incapace di estrarre alcunché da Shakespeare. [...] Karl Marx era afflitto dalla questione sul perché l'arte della Grecia Antica conservi intatto il suo "fascino eterno", anche se le condizioni sociali che la generarono sono scomparse da moltissimo tempo; ma come facciamo a sapere che rimarrà "eternamente affascinante" dal momento che la Storia non è ancora conclusa? (Terry Eagleton, Literary Theory - An Introduction, Oxford (England), Basil Blackwell Publisher, 1983, pp.11-12, mia traduzione).Senza stare a scomodare più di tanto Freud o altri pensatori, quello della ripetizione è un fenomeno complesso e molto studiato sia in psicanalisi che in filosofia. Kierkegaard ne tirò fuori un libro (intitolato proprio La ripetizione), Freud la studiò approfonditamente come uno dei mezzi per il ritorno del rimosso. La cosa che ci interessa adesso è che la ripetizione è al tempo stesso un'uguaglianza e una differenza e nessuna cosa rifatta o replicata dopo, per quanto identica, potrà mai coincidere con il fatto originario, se non altro per uno sfasamento temporale. Quindi l'irripetibilità dell'opera d'arte è da intendere solo in questo senso limitativo: ogni fruizione successiva alla realizzazione dell'opera produce un senso inevitabilmente diverso proprio perché successivo. L'importante è fare la distinzione tra ciò che è veramente ripetizione e ciò che appartiene al campo del ricordo o della nostalgia: quest'ultimo è soltanto un salto all'indietro, che non può produrre valore artistico perché ancorato al fatto originario che non esiste più. La ripetizione invece è un movimento in avanti, che produce senso perché rielabora a partire dal fatto originario.
Concludendo con un esempio un po' scontato, se oggi continuiamo ad apprezzare Hugo Pratt è anche in virtù della ripetizione. Come disse una volta Umberto Eco a proposito del fatto che in Pratt è possibile leggere Melville, Conrad e altri autori di testi d'avventura:
Pratt vuole che il lettore si ritrovi in un terreno conosciuto [...]. Le storie di Corto Maltese tornano a raccontare avventure di terra e di mare dopo che molti libri le hanno già raccontate. [...] E non solo nel senso che certe situazioni narrative si ripetono in tutti i racconti, ma anche che, semplicemente, la maggior parte delle volte raccontare una storia significa raccontare la storia di una storia. [...] Pratt trasforma in materiale di racconto d'avventura la sua stessa nostalgia della letteratura - e la nostra. (Umberto Eco, "Historieta y Literatura" in Un Hombre Mil Imagenes #2: Hugo Pratt, Barcelona, Norma Editorial, 1983, pp.37-38, mia traduzione).
Pratt è tuttora grandemente amato perché è riuscito a trasformare in ripetizione (per tutti i suoi lettori) la sua stessa nostalgia di letteratura. Ancora oggi lo apprezziamo perché questa ripetizione funziona. In generale, infatti, le opere da sempre più apprezzate sono quelle più universali, quelle che ambiscono ad un significato cosmico. E i significati più universali sono proprio quelli più ripetibili.
Post interessantissimo e pieno di spunti di riflessioni. Complimenti di cuore!
RispondiEliminaOrlando
Grazie mille, Orlando. :-)
RispondiEliminaCiao! Spero che il taglio nuovo ti doni... ^^
RispondiEliminaGuarda un po' se ti può interessare:
http://keisoncomics.blogspot.com/
A presto,
Corinna